Apparecchiatura elettrica antideflagrante o stagna?

Molto spesso le apparecchiature antideflagranti sono confuse con le apparecchiature stagne, anche negli ambienti tecnici. Questo deriva...

Molto spesso le apparecchiature antideflagranti sono confuse con le apparecchiature stagne, anche negli ambienti tecnici. Questo deriva dall’errata convinzione che è possibile evitare un’esplosione cercando di impedire il contatto tra atmosfera esplosiva e fonte dell’innesco elettrico (scintilla, arco o punto caldo).

Questo può essere parzialmente vero se la sostanza pericolosa è una polvere in sospensione nell’aria, ma è una convinzione errata quando l’atmosfera esplosiva è rappresentata da un gas.

Questa convinzione può causare un uso improprio della custodia, ritenuta erroneamente stagna, come l’installazione in condizioni non idonee a garantirne la totale sicurezza.

Per analizzare correttamente il problema, dobbiamo fare un passo indietro e capire quali sono i principi sui quali si basa la protezione elettrica antideflagrante.

I principi sono tre:

  • Segregazione
  • Prevenzione
  • Contenimento

Con questo principio si vuole impedire all’atmosfera esplosiva di venire in contatto con la fonte d’innesco. I sistemi utilizzati sono diversi: l’immersione dell’apparecchiatura innescante in olio, in sabbia o in resina. Questi sistemi, rispettivamente ‘Ex o’, ‘Ex q’, ‘Ex m’, sono utilizzati principalmente per proteggere componenti elettrici, ma non per la realizzazione di quadri elettrici, armature illuminanti o prese e spine.

La protezione è assicurata attraverso il sovradimensionamento delle apparecchiature che previene la creazione di scintille o archi elettrici, anche in condizioni di guasto.

Questi sistemi (‘Ex e’, ‘Ex i’) valgono rispettivamente per sistemi di infilaggio e di giunzione o sono applicabili, nel caso della sicurezza intrinseca, a strumentazione o comunque ad apparecchiature che lavorano a potenze bassissime. Nessuno realizzerebbe mai un quadro elettrico di potenza o l’illuminazione di una raffineria attraverso un impianto a sicurezza intrinseca.

Il modo di protezione ‘Ex e’, ossia la sicurezza aumentata, è utilizzabile da solo solamente per quelle apparecchiature che non possono scintillare come, ad esempio, le cassette di giunzione con morsetti. Nel caso in cui il sistema contenga apparecchiature scintillanti, queste dovranno essere protette singolarmente con un altro modo di protezione.

E veniamo al cuore del problema che stiamo analizzando.

Il modo di protezione ‘Ex d’, basato sul principio del contenimento, parte dal presupposto che non è possibile impedire in modo assoluto che un gas penetri in una custodia elettrica.

Questo è il modo di protezione più antico, ma ancora oggi quello che viene più comunemente utilizzato e, conseguentemente, la maggior parte dei prodotti presenti sul mercato, sono ‘Ex d’.

La maggior parte delle applicazioni per l’impiantistica elettrica tradizionale può essere realizzato con questo modo di protezione: i quadri elettrici, le apparecchiature illuminanti, le prese e spine e le cassette di giunzione.

Questo metodo si basa sul concetto, appunto, di contenimento. Ossia, se un’atmosfera esplosiva penetra in una custodia ‘Ex d’ e viene a contatto con un innesco (ad esempio, i contatti di un interruttore che si chiudono e formano una scintilla) avviene l’esplosione, ma questa rimane confinata all’interno della custodia, costruita in maniera tale da resistere alle decine di bar di pressione che si creano nel corso di un’esplosione.

Tuttavia, la custodia non può essere completamente a tenuta, altrimenti non sarebbe in grado di sopportare la pressione che si forma nel corso dell’esplosione trasformandosi in una vera e propria bomba. Per evitare la sua esplosione, le norme tecniche prevedono che i prodotti della combustione che si generano durante l’esplosione interna fuoriescano dalla custodia attraverso i cosiddetti giunti di laminazione.

I giunti di laminazione sono delle zone di parti della custodia (ad esempio corpo e coperchio) che sono lavorate meccanicamente per ottenere una superficie che presenta delle lunghezze determinate sperimentalmente in laboratorio, con un gap massimo tra le due superfici che può essere di qualche decimo di millimetro.

La fiamma che si forma nel corso dell’esplosione, è quindi laminata passando attraverso questi giunti e si raffredda prima di uscire all’esterno, rendendo impossibile l’innesco dell’atmosfera esplosiva circostante e, quindi, evitando un’esplosione con effetti disastrosi.

Questi giunti di laminazione, pertanto, devono rimanere liberi da qualsiasi mezzo di ostruzione e, conseguentemente, la custodia non può essere considerata stagna.

Normalmente, una custodia ‘Ex d’ ha una protezione 'IP 54'. Esistono tecniche che portano la costruzione a ‘IP 66’, attraverso l’apposizione di particolari guarnizioni all’esterno della lunghezza del giunto di laminazione, ma la protezione naturale è ‘IP 54’.

Lo stesso discorso è valido anche per le filettature: non possono essere normalmente sigillate perché anch’esse rappresentano dei giunti di laminazione filettati.

Pertanto, in una custodia ‘Ex d’ è abbastanza comune che si possa verificare la creazione di condensa interna, evitabile con l’utilizzo di valvole di drenaggio, appositamente progettate e costruite per la protezione antideflagrante, e, in alcuni casi, di resistenze interne anticondensa.

Per evitare l’infiltrazione di acqua attraverso le filettature si possono utilizzare delle sostanze frena filetti, come ad esempio la Loctite 577, ma sempre in accordo con il costruttore della custodia.

In ogni caso, le custodie poste all’esterno dovrebbero essere protette dalla pioggia o da getti diretti di acqua, attraverso la costruzione di tettoie e protezioni esterne in lamiera. In nessun caso le custodie possono essere sommerse, anche soltanto parzialmente.

Data pubblicazione: 01/03/2014

Argomento: Approfondimento